No-sensational-seeking.
Sulla campagna “contro” l’anoressia di Oliviero Toscani
Pubblicato il 26 settembre sul quotidiano on line: www.lecceprima.it
http://www.lecceprima.it/articolo.asp?articolo=3825
Ancora una volta si torna a parlare su tutti i mezzi di informazione di disturbi del comportamento alimentare, in particolare dell’anoressia. L’occasione non è la morte di una modella anoressica, lo ricorderete, è accaduto all’incirca un anno fa: tecnici e non tecnici, pazienti ed ex pazienti, politici e conduttori televisivi, giornalisti e opinionisti, si sono interrogati sul problema e qualcuno ha cercato di suggerire risposte operative. Il risultato è stato il Manifesto nazionale di autoregolazione della moda italiana promosso dal Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive, la Camera nazionale della moda italiana e AltaRoma con lo scopo di costruire modelli estetici positivi quale strumento concreto di prevenzione. Oggi, invece, se ne riparla a causa (o dovremmo dire grazie?) della campagna pubblicitaria – definita dagli autori stessi di sensibilizzazione e informazione sull’anoressia (no-anorexia, no-l-ita) – realizzata da Oliviero Toscani che mostra la fotografia di un corpo estremamente emaciato suscitando reazioni di valenza opposta tra l’opinione pubblica. In una società in cui l’apparire è l’unico modo per ‘esistere’ che venga propagandato, non c’è da stupirsi che tutto questo accada. La maggior parte delle campagne pubblicitarie vertono sulla ricerca del sensazionalismo al fine di coinvolgere anche il lettore distratto. Ma sulla pubblica piazza, cioè sotto gli occhi di tutti e nel vero senso della parola, oggi c’è il dolore e la disperazione di tante ragazze che hanno avuto la sfortuna di ammalarsi di una delle malattie psichiatriche più gravi che coinvolgono insieme la mente e il corpo fino a consumarli.
Sono una psichiatra che si occupa da più di vent’anni di disturbi del comportamento alimentare e che dirige un centro pubblico, presso la ASL di Lecce, per la cura e la ricerca di queste gravissime patologie che interessano una fascia di popolazione infantile e adolescenziale sempre più vasta. Gli operatori quotidianamente a contatto con ragazze e ragazzi ammalati di anoressia, bulimia e altri disturbi dell’alimentazione cerca di informare e sensibilizzare le Istituzioni e l’opinione pubblica circa le conseguenze per il corpo e per la mente di abitudini alimentari anomale e del risvolto sociale di queste patologie. Tuttavia, fa più rumore la notizia della morte di una persona anoressica (le percentuali si aggirano intorno al 15-20% dei casi) o una campagna pubblicitaria “commerciale” che ha la pretesa di fare prevenzione.
È pur vero che qualche giorno fa il ministro della salute e il ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa, per la definizione e lo sviluppo di iniziative congiunte all’interno del programma “Guadagnare la salute” volte a promuovere comportamenti salutari. Al punto 6 dell’articolo 1 dell’accordo si impegnano a: “promuovere iniziative di informazione e comunicazione volte a favorire un rapporto equilibrato con l’immagine corporea, tenuto conto delle implicazioni che la comunità scientifica ascrive ai fattori socio-culturali nell’insorgenza e nella diffusione, in particolare tra i giovani, dei disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, obesità psicogena e altri disordini alimentari)”; al punto 5 dell’articolo 2 si prevede di avviare: “iniziative di informazione e comunicazione volte a prevenire ogni forma di disagio giovanile, ivi compresi i disturbi del comportamento alimentare, anche attraverso la predisposizione di strumenti informativi specializzati, d’intesa con i soggetti istituzionali coinvolti e con il supporto dei medici specialisti e delle associazioni operanti nel settore”.
Tuttavia, non va trascurata la necessità, all’interno di un progetto complessivo, di costruire una rete pubblica per la cura di questi disturbi attraverso la istituzione di centri specializzati in cui affrontare un problema psichiatrico tra i più complessi con un approccio integrato e multidisciplinare, acclarato dalla letteratura scientifica internazionale quale trattamento terapeutico tra i più efficaci. È necessario, inoltre, provvedere ad una adeguata formazione degli operatori.
Esprimo alcune mie considerazioni, passibili di confronto con l’opinione pubblica e la comunità scientifica.
1. Se è vero che lo scopo della campagna “no anorexia no-l-ita” è quello di sensibilizzare e informare circa una malattia, avrà necessitato per la sua costruzione di tecnici esperti sia nei disturbi del comportamento alimentare sia nel campo della comunicazione sociale: chi sono, se ce ne sono, gli specialisti competenti coinvolti da Toscani e dalla Flash&Partner nella costruzione del messaggio sociale proposto e nella valutazione del suo impatto sulla popolazione? Numerose sono, infatti, le ricerche scientifiche degli ultimi anni che sottolineano come alcune informazioni fornite ai ragazzi circa i disturbi del comportamento alimentare favoriscano l’insorgere e manifestarsi di questi ultimi, piuttosto che prevenirlo.
2. Un’altra considerazione nasce dal fatto che uno dei sintomi principali della patologia anoressica è la “distorsione dell’immagine corporea”, cioè una percezione alterata delle proprie forme che porta a ritenere il proprio corpo mai sufficientemente magro (un’anoressica che pesa anche 27 kg guardandosi allo specchio si vede grassa). Potrebbero queste immagini provocare invidia e stimolo alla emulazione piuttosto che portare i giovanissimi (e non) a prendere le distanze dai comportamenti alimentari disturbati?
3. Negli ultimi anni c’è stata una esplosione di siti web pro-anoressia, molto frequentati dai giovanissimi e inneggianti la malattia quale condizione speciale, che espongono immagini simili a quella utilizzata da Toscani. Questi siti fanno continuamente adepti. Potrebbero farli anche queste immagini pubblicitarie?
4. Se è vero che tra i principali fattori predisponenti l’anoressia e la bulimia si riscontrano un deficit dell’autostima e un fallimento nella costruzione della propria identità, possono messaggi di questo tipo aiutare ad avere maggiore considerazione e rispetto di sé, stimolare la scoperta e l’apprezzamento della propria diversità e unicità e suggerire il messaggio che tutte le persone hanno diritto di cittadinanza e soprattutto hanno bisogno di essere amate per quello che sono, qualunque sia la loro forma fisica?
5. Una comunicazione sociale così costruita fa comprendere a chi la “subisce” che non esiste un peso ideale ma un range di peso corporeo specifico per ciascuna persona e influenzato da numerosi fattori, non ultimi quelli genetici?
6. Altre campagne preventive basate sui fattori di rischio quali quelle contro la droga, il fumo, l’alcool hanno fallito nel loro intento. Sarebbe più utile costruire campagne di prevenzione basate sui fattori di protezione, quelli cioè che suggeriscono strumenti efficaci e stimolano le capacità personali nell’affrontare e risolvere il disagio?
7. Piuttosto che dire sempre NO a qualcosa da evitare, si può cominciare a dire SI a qualcosa di propositivo? Vi invito a questo proposito a visitare il sito www.perlabellezzaautentica.it, campagna pubblicitaria di Dove per l’autostima.
Qualche anno fa dalla collaborazione tra l’associazione Salomè Onlus e Big Sur è nata una campagna di sensibilizzazione su anoressia e bulimia intitolata Weigh different – Pe(n)sa differente che ha cercato di proporre “un modo alternativo per protestare dolcemente contro la presssione culturale della nostra società ad essere magri come se questo fosse l’unico modo per ottenere successo e stima, o essere felici. Per festeggiarci qualunque taglia noi abbiamo, e non permettere che la preoccupazione nei confronti del peso e della forma del nostro corpo, condizionino la qualità della nostra vita. Perché ciascuno di noi fa una differenza”. Forse un altro modo, oltre il sensazionalismo, esiste.
Caterina Renna
Psichiatra
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento